In Italia - Cooperativa di Biumo e Belforte

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In Italia

"da dove veniamo"
La cooperazione in 'Italia   ai primi del 900

La penisola italiana non aveva ancora trovato una sua unità politica quando,
nel 1844 in piena Rivoluzione Industriale, a  Rochdale  nasceva di fatto la cooperazione e si inaugurava un periodo pionieristico che, alimentato dai primi incoraggianti successi, ben presto fece della struttura cooperativa un modello da imitare in ogni parte d'Europa.

I vari governi italiani, fino alla metà dell'Ottocento, non hanno mai appoggiato particolarmente i progetti cooperativi ed anzi a volte emersero atteggiamenti perfino avversi.
Fu il Piemonte, con  lo Statuto Albertino ad alimentare  speranze di apertura alle forme di mutuo soccorso, e  tenere a battesimo le prime cooperative nostrane.
La Società degli Operai di Torino  apre la prima cooperativa italiana, il Magazzino di Previdenza (1854), per arrestare gli effetti di una grave carestia agricola ed il conseguente rincaro dei prezzi.


Due anni dopo verrà costituita la prima cooperativa italiana di produzione e lavoro, l'Associazione artistico vetraria di Altare (Savona). Promosse da liberali e repubblicani mazziniani, le cooperative trovano vasto consenso e arricchiscono il movimento politico e sindacale di emancipazione dei lavoratori. La cooperazione viene considerata strumento di inserimento non conflittuale delle classi subalterne nello sviluppo economico, quindi utile all'intera organizzazione sociale.
Altre iniziative interessanti nacquero a Firenze grazie all'attività di alcuni nobili
e borghesi illuminati,
                                                                                          


nel 1863 con la Società Cooperativa di Consumo per il Popolo e ancora, due anni dopo, a Como, dove nacque la prima cooperativa italiana con uno statuto modellato sui principi di Rochdale, redatto da Francesco Viganò, che ebbe la possibilità di girare l'Europa e conoscere le
realtà già avviate negli altri paesi.
Gli ultimi decenni del secolo, dopo l'unità d'Italia, sono decisivi, anche nel Bellunese iniziarono a sorgere piccole
latterie e cooperative e grazie a don Antonio Della Lucia nel 1872 nasceva a Forno di Canale la prima Latteria Cooperativa d'Italia a "Sistema Svedese" e successivamente il 20 luglio 1888 ad Agordo si fondava per tutto l'Agordino la Federazione delle Latterie Agordine che assunse il compito di confezionare e smerciare il burro.)
Nasce la prima banca cooperativa a Lodi e soprattutto,
il primo congresso dei cooperatori italiani
(a Milano nel 1886) che sanciva la nascita della Federazione delle società cooperative italiane (denominata dal 1893 Lega Nazionale delle Cooperative).Nel 1901 nacquero la Federazione Italiana delle Società di Mutuo Soccorso e la Confederazione Generale del Lavoro, la "Triplice Alleanza" del lavoro, un comitato composto dai maggiori esponenti dei movimenti cooperativi, mutualistici e sindacali; e tra il 1904 e il 1910 furono dodici i provvedimenti legislativi volti a favorire più o meno direttamente la cooperazione.. Va sottolineato che la crescita, talvolta pionieristica, delle esperienze cooperative seguiva non di rado le alterne vicende politico-economiche del nostro Stato, mostrando, anche a livello geografico, quella gravissima dicotomia sociale ed economica che si era verificata e mai ricucita tra il Nord del paese ed il Mezzogiorno. La sperequazione economica, accentuata proprio sul finire del secolo da una forte e convinta spinta all'industrializzazione a settentrione, prendeva consistenza in alcuni dati resi pubblici nel 1890: l'Italia settentrionale contava l'87% delle sedi cooperative dell'intero paese, l'Italia centrale il 14% e appena il 5,3% il Sud e le isole



La neutralità dello stato nelle controversie su questioni economiche tra operai ed imprenditori si affermò però ben presto con la vittoria in Parlamento del partito liberal – democratico di Giovanni Giolitti. Di certo il suo Governo portò ad avviare una rigogliosa esperienza cooperativa in Italia: la legislazione e l'atteggiamento assunto dal Governo Giolitti permisero una notevole crescita delle retribuzioni dei lavoratori, che finirono per disporre delle risorse necessarie per dare vita ad iniziative di cooperazione. Il primo conflitto mondiale ebbe chiaramente riflessi negativi anche nel settore cooperativo osteggiato dall'aumento dei costi e dalla stasi dei beni di consumo.
Allo scoppio della Grande Guerra in Italia si contavano 7429 cooperative con un milione e 800 mila soci (di queste 2408 appartengono al settore di consumo, 3022 alla produzione e lavoro, 1143 al settore agricolo, 105 alle assicurazioni). Ma all'indomani della vittoria sul fronte alpino, tra il 1919 ed il 1920, nel nostro paese si assistette ad un vero boom cooperativo, stimolato in parte dalla forte disoccupazione e dall'aumento sfrenato dei prezzi.
Nel 1921 le cooperative erano 25.000 e contavano oltre due milioni di soci.

Cooperazione e fascismo
Fra il 1919 e il 1924, in un periodo di grande confusione e di travaglio per una Nazione delusa ed allo stremo, lacerata al suo interno da violenze e ritorsioni, il Fascismo, allo scopo di arrestare l'avanzata delle forze socialiste e cattoliche, colpì duramente la cooperazione.
Solo nel 1923 il primo governo Mussolini diede il via ad un processo di normalizzazione che avviò l'opera di revisione dei problemi cooperativi da parte del partito nazionale fascista. Dal 1925 al 1927 il Regime sciolse la Confederazione ed intraprese una radicale riorganizzazione dei settori cooperativi: fu creato l'Ente Nazionale Fascista per la cooperazione con sede a Roma e le cooperative furono inquadrate nell'ordinamento corporativo.Nei giorni che seguirono l'8 settembre 1943 il Fascismo provò a fare leva anche sulla cooperazione attraverso il Manifesto di Verona del novembre dello stesso anno. Tuttavia le sorti dell'Italia stavano per cambiare, e le forze antifasciste, che si preparavano a vincere l'ultimo atto di una cruenta guerra civile, posero le basi per la ricostruzione di cooperative libere e democratiche, alle quali venivano affidati ruoli e responsabilità per un'Italia democratica.  


Superato il momento critico delle  due guerre, lo slancio cooperativo riprese nuovo vigore e cominciò una crescita sempre più soddisfacente, sia per ciò che riguarda la diffusione del fenomeno, sia per quanto concerne la definizione dei valori etici e morali sui quali le esperienze dovevano basarsi. Ma, nel clima arroventato del primo dopoguerra, poiché tra i socialisti predominavano atteggiamenti rivoluzionari e tra i cattolici invece quelli più conservatori, si venne a una drastica e nociva separazione: le cooperative d'ispirazione cattolica si scissero dalla Lega e si aggregarono per loro conto nella Confederazione Cooperativa Italiana. Più recentemente, e sin dai primi anni novanta, il movimento cooperativo ha avvertito l'esigenza di dotarsi di una più precisa ridefinizione delle proprie caratteristiche distintive. Questa in definitiva la nuova problematica del sistema cooperativo (italiano ed internazionale) da cui deriva l'impegno della Lega delle Cooperative e delle altre Centrali cooperative (e di conseguenza quello dell'ACI


(Alleanza Cooperativa Internazionale)
nel disegnare un preciso quadro normativo che sia punto di riferimento morale dell'intero movimento e valga a rendere riconoscibile la qualità dell'impresa cooperativa rispetto agli altri modelli d'impresa. Il valore sociale della cooperazione, del resto, ha trovato riconoscimento nella Costituzione Repubblicana, nella quale risulta fondamentale la tutela dei diritti sociali e il ruolo di rilievo delle classi lavoratrici nella vita politica e sociale della nazione. In questo senso l'articolo 1 recita che “ L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro ”, ed in questo contesto si inseriscono il riconoscimento del valore sociale della cooperazione e il dovere da parte dello stato di promuoverne e favorirne l'incremento, assicurandone il carattere e la finalità; come espresso nell'articolo 45: "La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità". Ma il significato della cooperazione non ha solo un fondamento di carattere sociale, bensì rappresenta una realtà fondamentale per l'economia italiana: il modello cooperativo rivela la sua efficacia sia in grandi aziende (leader nei settori della distribuzione, delle costruzioni, assicurativo/finanziario e agro – alimentare) che in piccole imprese, diffuse su tutto il territorio nazionale e operanti nei mercati più disparati (dalla pesca all'agricoltura, dal turismo all'editoria, dallo spettacolo ai servizi sociali e sanitari, dal terziario più avanzato al manifatturiero innovativo).


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